martedì 9 agosto 2011

Dentro un bar

Prendete un paio di ingredienti, e mescolateli. Ecco, si dovrebbe formare una specie di pastina, qualcosa che riesce a stare dentro una teglia e pronta per essere ben cotta.
Come dite? Troppo presto? Mancano altri dettagli?
Se siete tra quelli che ha risposto “si” bene: potete continuare a leggere. Se avete risposto “no”, beh allora siete nella pagina sbagliata, dovete controllare l'ultimo aggiornamento del vostro amico su Facebook.
Questa storia, in effetti, dovrebbe essere piena di dettagli ma sapete bene che nessun essere umano è bravo come Wilbur Smith o come Stephen King a scrivere bene ogni singola emozione che trasuda dal corpo del personaggio. Io mi limito solo a dare un'apparenza normale a tutto quello che può riguardare una singola storia scritta. Ogni singola parola, ogni singola lettera.
Questa storia riguarda una storia di persone che si rincorrono e che si trovano solo quando meno se lo aspettano, una storia formata da gente morta dentro ma che non capisce bene di essere morta.
Questa è la storia di come conobbi una di quelle simpatiche figure che l'essere umano ha sempre cercato di evitare ma che sfortunatamente non riesce a viverne senza, soprattutto se l'essere umano in questione è un genio o un essere umano che cerca di nascondere il fatto di essere genio.
Quella sera io ero di turno al bar di mio zio, un uomo abbastanza in carne che si era rotto le palle di gestire quel bar e aveva deciso di uscire e togliersi totalmente dalle scatole dal punto di vista lavorativo: aveva deciso di entrare al bar soltanto per prendere la sua parte di soldi e sparire via in qualche città, perso in qualche bar per cercare di dimenticare la realtà in cui viveva e crearsi una realtà tutta sua. Io, da buon nipote squattrinato, decisi di prendere in co-proprietà il bar e soprattutto “coltivare” quell'attività, e senza di me quel bar non avrebbe sbarcato il lunario.
Ecco, quella giornata non ero particolarmente entusiasta poiché non era venuto nessuno al bar tranne Giacomo 'o piccirillo' e Vaiani, il noto ubriacone del paese. Era piena estate, e sfortunatamente quel paesino sperso nelle campagne toscane non rientrava nella guida Michelin come meta turistica a 4 stelle. Anzi, non aveva nessun tipo di stella se non quelle bellissime, che brillavano come diamanti nel firmamento stellato. Ero scoglionato, gente, talmente scoglionato che avevo deciso di seguire l'esempio di mio zio e di chiudere quel maledetto bar e andare in ferie.
Ma ero con pochi spiccioli in tasca, e il conto in tasca mi serviva per sopravvivere magari fino alla fine del semestre finanziario.
Perso in quell'incubo dei miei pensieri entrò lei, bellissima con i capelli rossi fuoco, e quel vestito leggero che lasciava entrare nella tua testa pensieri tutt'altro che finanziari.
Bellissima. E con uno sguardo che poteva fare anche paura, a tratti.

pezzo estratto dal racconto "All'origine del pensiero"

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